venerdì 21 marzo 2014
sabato 15 marzo 2014
Tempo fa, un mio carissimo amico, che segue (bontà sua!) con attenzione le sorti del
mio lavoro poetico, mi fece notare come sovente nelle mie poesie ricorre il
sostantivo passo, con la sua variante
plurale passi.
L’osservazione
è più che attenta. La mia poesia è preminentemente poesia sull’uomo e caratteristica primaria di
questi, come di ogni altro essere vivente libero, è il movimento. Ora, il movimento dell’uomo, ovvero
il suo spostarsi nel tempo e nello spazio, si chiama cammino, di cui il passo
ne è l’unità di misura.
Alludendo
al passo (o ai passi), quindi, altro non faccio che alludere all’esperienza
umana attraverso la metafora di quell’unità semplice, quanto faticosa, che sta al
principio di ogni “traguardo”.
sabato 8 marzo 2014
LA RAGAZZA DI BRAŞOV
I
Il colore della primavera è indefinibile
quello dell’anima tinto alla partenza
è bianco come la pagina da scrivere.
La Storia (così è chiamata la vita che attraversa il
tempo)
ha chiuso la tua infanzia in un corpo acerbo di donna
e vestita delle notti d’oriente t’ha condotto a questa
riva
leggera come un pensiero.
I tuoi vent’anni te li sei portati dietro tutti
neanche uno a lasciarlo
su quella costellazione d’insonnie.
II
Come una porta che si apre all’oscurità
comparisti alla mia arroganza
passando per l’autunno
e con i tuoi suoni inesatti
mi domandasti una mattina: – Poeta
conosci tu Eminescu… Bacovia… Lucìan Blaga?
Scuotendo il capo
mi fu nemica la mia risposta. Così
a narrare cominciasti a me di Luceafărul…
Plumb… Meşterul Manole
e via via d’altri incantamenti
che mi presero a volare sui tetti degli abissi
sulle alture delle cantilene
fino alle altissime vette del desiderio.
III
Nella gelida stanza del disinganno
come la cenere per il fuoco
veglio la mia memoria
facendo l’appello degli affanni.
Il mio silenzio urla inesaudito. All’intorno tutto
tutto è quieto.
Tu ancora poco e molto da sfogliare
fischietti la vita.
Mi sono accontentato di sentirti.
da: Vocianti - 2010
domenica 2 marzo 2014
COMMEDIA
mescolandomi
alla gente quante volte
con una
cartella vuota di cartastraccia
una
destinazione fingo di avere.
un
incontro. l’obbligo di un orario.
improvviso
l’itinerario spesso trepidante
come se
importante fosse arrivare a tempo
là dove
non so di andare.
e come
molto somiglia questo mio rituale
a quello
di chiunque va camminando:
così ad un
mio smarrimento
un uomo
m’indicò la via
puntando
frettolosamente l’indice.
lo
ringraziai – com’è di prassi –
“di
nulla!” replicò con un lieve sorriso.
anch’io lo
congedai con un lieve sorriso
prendendo
la direzione opposta.
© Giovanni
Abbate - Inedito
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